APPUNTI DI UN DIFENSORE DEL SUOLO, DOPO L’ALLUVIONE

In questi giorni siamo tutti costernati di fronte all’evento che ha colpito la nostra regione; in passato ho forse troppe volte detto che avevamo lavorato molto e bene nella prevenzione, per cui in Emilia-Romagna non sarebbe mai successo un grosso disastro; mi sbagliavo clamorosamente o, meglio, non potevo prevedere che sarebbe cambiato il mondo. Si sentono e si leggono oggi molte inesattezze e qualche sciocchezza, provo a scrivere alcune note per fissare il mio punto di vista.

Fiume Lamone – Faenza, 20 maggio 2023
photo credit: Andrea Garreffa
  1. Tutte le opere idrauliche presenti sul nostro territorio – argini dei fiumi e sezioni dei canali sia a pelo libero sia tombati – sono state dimensionate fino a ieri secondo curve che esprimono la probabilità che le piogge si verifichino con determinate caratteristiche di intensità e durata e con un certo tempo di ritorno, vale a dire ogni quanti anni, statisticamente, si può presentare quell’evento; per esempio:
    a) le fognature urbane sono calcolate in genere con tempi di ritorno di 15 anni, accettando il rischio che ogni tanto (in teoria ogni più di 15 anni) non siano in grado di smaltire tutta la pioggia che cade, perché non è possibile posare sotto tutte le strade urbane tubi di diametro molto grande, costerebbe troppo e sarebbero inutili per la maggior parte del tempo;
    b) le sezioni dei canali di bonifica sono adeguate ad un tempo di ritorno di 50 o 100 anni;
    c) le sezioni arginali dei fiumi minori sono calcolate per tempi di 100 anni;
    d) le sezioni arginali di grandi fiumi, come il Po o l’Adige, e le dimensioni delle casse di espansione sono calcolate per tempi di 200 e più anni.
  1. Come è noto, il cambiamento climatico ha prodotto riscaldamento globale, che a sua volta ha aumentato la quantità di energia in atmosfera: maggiore evaporazione e piogge molto più intense e concentrate; Queste piogge non sono più rappresentate dalle curve di pioggia classiche, per cui da oggi:
    a) ogni nuova opera idraulica dovrebbe essere dimensionata secondo nuove curve;
    b) si dovrebbero rivedere e verificare secondo nuovi parametri tutte le opere esistenti (argini, attraversamenti, tombamenti, briglie…) per adeguarle al cambiamento climatico;
    però, a prescindere dalla considerazione che sarebbe un lavoro immane che richiederebbe anni e anni e risorse finanziarie enormi, nessuno ha mai ancora definito le nuove curve, perché i fenomeni attuali sono del tutto imprevedibili e indescrivibili matematicamente o, meglio, non definibili statisticamente; siamo quindi destinati a vedere il ripetersi di questi eventi dannosi ancora per molto. Ciò non toglie che siano comunque necessari da subito grandi investimenti pubblici ed un approccio alla gestione del territorio e dei fiumi in grado di restituire ai corsi d’acqua quanta più naturalità e quanti più nuovi spazi possibile, per consentire l’evoluzione delle dinamiche naturali con modalità meno catastrofiche.
  1. Gira l’accusa di scarsa manutenzione o mala gestione delle opere: gli alvei non sarebbero abbastanza puliti e le piene portano materiale che chiude le sezioni sotto i ponti oppure, al contrario, negli alvei si tagliano troppo gli alberi che potrebbero rallentare e trattenere la piena, gli argini sono tenuti male ecc. ecc…. ma:
    a) i canali di bonifica sono tenuti regolarmente in efficienza dai consorzi; lo so per certo e lo vedo di persona nei pressi della Certosa di Bologna, dove il canale di Reno entra sotto la strada e l’imboccatura è protetta da una griglia sulla quale si accumulano tronchi, ramaglie, palloni e plastiche; quella griglia è regolarmente pulita dagli operai del consorzio.
    b) le aste dei fiumi di competenza regionale soffrono di minore manutenzione a causa della scarsità di risorse, ma anche questi sono mantenuti in ordine, secondo una logica di priorità, anche se mai a sufficienza;
Allagamento terreno a Faenza – 20 maggio 2023
photo credit: Andrea Garreffa
  1. Alcuni dicono che gli allagamenti sono stati causati non da una pioggia da cambiamento climatico ma dal cattivo stato degli argini ma:
    a) questa considerazione può avere un qualche fondamento per quei (pochi) casi di rottura arginale, come quella del 2 maggio sul torrente Sillaro; gli argini dei fiumi sono stati realizzati nel corso dell’800 con i mezzi e le risorse dell’epoca; ricordate gli scariolanti di una canzone popolare? Prelevavano materiali di prossimità per accumularli lungo il fiume ed erigere gli argini; quei materiali erano come veniva, di scarsa qualità e non impermeabili; nel corso degli ultimi decenni del ‘900 gli argini dei fiumi maggiori sono stati impermeabilizzati con un setto centrale di argilla, ma questa operazione non è stata eseguita su tutti gli argini, per motivi economici, e si sono privilegiati i fiumi maggiori ed i tratti più a rischio; l’argine che ha ceduto il 2 maggio non aveva un setto impermeabile ed era all’esterno di una curva, per cui è stato eroso dalla piena fino al collasso; non sono escluse, tra le cause, anche tane di nutrie e radici di piante che offrono vie di infiltrazione all’acqua che avviano il processo di smantellamento del corpo arginale;
    b) in tutti i molti altri casi gli allagamenti si sono verificati per sormonto arginale da portate superiori a quelle di progetto degli argini, quindi gli argini hanno tenuto, ma l’acqua di una piena fino ad ora non calcolabile (vedi punto 2) li ha sormontati; questo si è verificato in tratti di attraversamento urbano, come a Cesena, lungo tanti tratti di fiumi e canali di pianura e persino in tratti collinari;
    c) la stessa causa vale per l’episodio del Ravone a Bologna che è esploso nel tratto tombato, sfondando il pavimento del negozio che gli stava sopra; evidentemente la sezione del tubo in cui doveva passare era insufficiente, per cui è andato in pressione e si è sfogato così; in quel tratto, sopra il Ravone è stato costruito un palazzo di 5 – 6 piani negli anni ’60 o poco dopo; in quel periodo chi ha calcolato quella sezione con le curve di pioggia allora vigenti non poteva certo prevedere che sul piccolo bacino del Ravone (7 km²) si sarebbero abbattuti 300 – 400 mm di pioggia in un giorno e mezzo; come dire una secchiata d’acqua su un presepio; quella quantità di acqua, quella portata, non poteva essere smaltita dalla sezione del tubo interrato;
  1. Altri accusano l’eccessiva impermeabilizzazione del territorio:
    a) sicuramente l’Emilia-Romagna è tra le regioni con maggiore tasso di consumo di suolo ed anche la legge urbanistica vigente non favorisce una inversione di tendenza; gli ingenti danni che si sono verificati in pianura sono certo dovuti alla grande quantità di edifici, abitazioni, capannoni industriali ed agricoli che sono stati costruiti; l’impermeabilizzazione dei suoli di pianura ha determinato un aggravamento della incapacità del suolo di trattenere l’acqua in eccesso, che si è riversata troppo rapidamente nel reticolo di drenaggio già stressato dalle piene eccessive giunte da monte, da qui gli allagamenti estesissimi;
    b) ma se si osservano le mappe delle piogge del 16 e del 17 maggio, si vede che queste si sono concentrate sulla montagna romagnola e, in parte, bolognese; quindi le piene si sono formate in montagna, dove il tasso di impermeabilizzazione del suolo è senza dubbio minore, poi, arrivate nei tratti di pianura, o addirittura collinari come a Riolo Terme, hanno trovato sezioni insufficienti a smaltirle, per i motivi detti, e sono esondate.
Auto sommersa dal fango – Faenza, 20 maggio 2023
photo credit: Andrea Garreffa

Tutto questo non per negare che anche in Emilia-Romagna si siano commessi errori nella gestione del territorio, specie in tempi in cui c’era scarsa consapevolezza, nell’opinione pubblica e tra i governanti locali, della delicatezza dell’ambiente e della catastrofe a cui andavamo incontro (come disse un esperto di organizzazione aziendale in altra occasione: stiamo facendo surf su uno tsunami, l’immagine è perfetta anche per questo caso). E’  vero che nella nostra regione gli spazi dei fiumi sono stati scelleratamente ridotti da cave e nuove costruzioni, specie negli anni ’60 – ’70. Lo stesso nel corso del mio lavoro, molto centrato sulla prevenzione,  nel settore della difesa del suolo della Regione Emilia-Romagna, mi sono scontrato più volte con l’incapacità degli amministratori di assumere la logica della riduzione del rischio: a volte, quando con i piani di bacino per l’assetto idrogeologico (PAI) si introducevano vincoli di inedificabilità in aree inondabili o sottoposte a rischio di frana, amministratori e politici che si facevano interpreti degli umori dei cittadini avanzavano richieste di alleggerimento dei vincoli; in alcuni casi di rischio maggiore tali richieste non sono state esaudite, in altri si cercava il compromesso capace di non bloccare completamente le iniziative imprenditoriali assicurando contemporaneamente una ragionevole sicurezza del territorio.

Infine abbiamo dovuto scontare i rapporti con i governi che si sono succeduti. Con le autorità di bacino funzionava così: con i piani di bacino, oltre a mettere norme di salvaguardia, si individuavano le opere necessarie, le regioni (o il magistrato del Po, a seconda dei tratti di competenza) le mettevano in programma e chiedevano al governo i soldi per realizzare quelle opere. Poi i governi Berlusconi (sempre lui)  hanno pensato bene di non dare più soldi alle regioni (specie a quelle di sinistra) e di darli ai comuni (specie quelli di destra); ora, se eroghi soldi alle regioni per spenderli secondo le indicazioni dell’autorità di bacino, si faranno le casse di espansione, sacrificando parte del territorio agricolo (che si potrà comunque ancora coltivare) di un comune a monte per proteggere i comuni a valle, secondo una logica di solidarietà territoriale e di corretta gestione dei fiumi; se invece  dai ad un comune soldi per la sicurezza idraulica, quello non vorrà certo sacrificare un po’ del suo territorio per salvare quello di un altro comune e non farà altro che alzare gli argini del suo fiume, trasferendo il rischio più a valle; risultato: i lavori di realizzazione di molte opere che contavano su finanziamenti pluriennali (ad esempio le casse di espansione sul Reno) sono rallentati o fermati e  la loro entrata in funzione è stata ritardata. Inoltre in quegli anni ci fu uno slittamento progressivo dell’attenzione e delle risorse dalla prevenzione dei dissesti all’intervento di riparazione a posteriori gestito dalla protezione civile di Bertolaso con procedure in deroga al codice degli appalti.

 Sulle casse di espansione: sono sicuramente necessarie, infatti dove sono state realizzate (come sul Reno, ma lì è anche piovuto meno) si sono registrati effetti minori di questo evento, mentre dove non ci sono abbiamo visto cosa è accaduto. E’ però evidente che anche se ci fossero state casse di espansione sui fiumi della Romagna non sarebbe stato possibile regimare né tanto meno contenere tutta quella quantità di acqua che è venuta giù in due giorni, proprio perché questa pioggia non risponde ai criteri di calcolo fino ad ora adottati; senza contare che le casse si fanno all’uscita dei bacini montani mentre, come abbiamo visto, queste acque sono uscite anche dai tratti collinari.

In definitiva, alcuni rilievi sulla gestione del suolo sono fondati, ma una gestione più accorta, in questo caso, avrebbe  determinato meno danni materiali e, forse, meno vittime ma non avrebbe tutelato la regione da una piena devastante.

            Quanto alla miriade di frane che si sono verificate e si stanno verificando in queste ore, per parlare anche dell’Appennino cui è dedicato questo sito, c’è poco da dire: da anni sono censite a migliaia e catalogate in attive, quiescenti e stabilizzate; anche su queste la Regione ed i consorzi di bonifica operano con un criterio di priorità definita con l’analisi del rischio, non essendo possibile intervenire su tutte, ancora per scarsità di risorse; ogni frana attiva o quiescente è pronta a mobilizzarsi ad ogni pioggia, e stavolta è piovuto davvero tanto.

            Insomma, le polemiche e le recriminazioni di questi giorni non hanno senso, non solo e non tanto per rispetto dei morti, degli sfollati e di chi ha avuto distrutto ogni avere, ma perché la causa di questo disastro è senza dubbio una pioggia abnorme dovuta al cambiamento climatico: negli ultimi mesi è accelerato oltre ogni previsione e lo stato attuale raggiunto dai fenomeni non si è certo stabilizzato, vedremo presto ulteriori peggioramenti. Questo interroga urgentemente in primo luogo i governanti del mondo.  Le piccole buone pratiche che ognuno di noi può mettere in atto ogni giorno, tanto raccomandate negli ultimi anni, pur necessarie e da diffondere ulteriormente, sono utili per cominciare a mutare il nostro atteggiamento, quasi fossero un allenamento ad un nuovo stile di vita più sobrio, ma risolvono una parte minima del problema.

Vinicio Ruggeri
Ingegnere, già responsabile del Servizio regionale difesa del suolo e della costa
21 maggio 2023

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