Indice
- Quando la testardaggine è una virtù
- Quindicimila contro zero
- «Un albergo a due piani»
- L’ambiente non è una cartolina
- Una «nuova seggiovia» può non essere nuova
- Il caso di Livigno
- Una ferita «compensata» rimane una ferita
Come promesso, dopo attenta lettura, entriamo nel merito della sentenza n. 275/2023 con la quale il TAR dell’Emilia-Romagna ha respinto il nostro ricorso del 2021 contro la costruzione della nuova seggiovia Polla – Scaffaiolo senza una Valutazione di Impatto Ambientale.
Che il ricorso potesse essere respinto ce lo aspettavamo, è nell’ordine delle cose. Non era scontato, invece, che la sentenza fosse così ostile alle nostre motivazioni e che aderisse in toto agli argomenti della Regione Emilia-Romagna e del comune di Lizzano in Belvedere.
1. Quando la testardaggine è una virtù
Prima di affrontare i contenuti del provvedimento, ci sia concessa una piccola nota formale e linguistica.
Nel testo, ricorre per due volte l’avverbio pervicacemente, che significa «con insistenza, in maniera ostinata e testarda». In entrambe le occorrenze, l’avverbio è attribuito alle nostre posizioni: «quanto pervicacemente argomentato dalle associazioni ricorrenti», «quanto pervicacemente sostenuto dalle ricorrenti». Le tesi della Regione e del comune di Lizzano non sono mai definite così. Non sono testarde: la cocciutaggine sta tutta dalla nostra parte. In quest’uso degli avverbi, possiamo quindi affermare che la sentenza del TAR è senz’altro ingiusta. Tuttavia, guardando all’etimologia della parola pervicace, vogliamo comunque ricavarne un buon auspicio: il termine deriva dalle radici latine per, che indica insistenza, e vic, da cui discende anche il verbo vincere. Il significato originario è quindi quello di superare ogni ostacolo. Esattamente ciò che intendiamo fare per impedire la realizzazione di questa seggiovia.
Fatta questa premessa, procediamo con le motivazioni della sentenza. Non ci addentreremo in quelle di carattere più tecnico-amministrativo (chi vuole, può leggere il documento integrale), ma affronteremo i passaggi che hanno a che vedere più direttamente con le tematiche ambientali che ci stanno a cuore. Non seguiremo nemmeno l’ordine dell’esposizione, ma analizzeremo per primo un argomento che ci sembra davvero emblematico.
2. Quindicimila contro zero
Tra le ragioni di contrarietà alla nuova seggiovia, il nostro comitato ha sostenuto che l’impianto, arrivando a due passi dal lago Scaffaiolo, e funzionando tutto l’anno, aumenterebbe di molto la pressione antropica su un ambiente fragile.
Oggi, chi intende raggiungere il crinale deve camminare almeno per un’ora e affrontare un leggero dislivello (circa 300 metri dal rifugio Cavone), e già così la massa di persone che si ritrova intorno al lago nei fine settimana estivi sta diventando eccessiva. Il TAR ritiene invece che la nuova seggiovia non avrà effetti peggiorativi sotto quest’aspetto. Il motivo è che «la portata massima della seggiovia in progetto (1.800 persone all’ora) è decisamente inferiore a quella dell’impianto attuale (2.400 persone all’ora)». Forse sfugge ai giudici che la seggiovia attuale NON arriva in prossimità del lago Scaffaiolo, mentre quella nuova sì, e che proprio questa maggiore estensione è una materia del contendere.
Il numero di persone trasportate con seggiovia nei pressi del lago Scaffaiolo è oggi pari a zero. Col nuovo impianto, saranno 1800 all’ora (anche munite di biciclette), ovvero circa quindicimila in una giornata di esercizio. Quindicimila contro zero. Un aumento giornaliero pari a sette volte la popolazione del comune di Lizzano. Come si può negare che questo comporterebbe una maggiore presenza umana?
3. «Un albergo a due piani»
Ma il carico antropico su quella zona protetta, inserita nella Rete Natura 2000, secondo i giudici non è un fattore decisivo di impatto ambientale, in quanto:
a) L’arrivo della seggiovia è «posto in area edificata e antropizzata».
Edificata, perché a fianco della futura stazione si trova il rifugio CAI Duca degli Abruzzi, descritto nella sentenza come «un albergo a due piani». Definizione iperbolica, per un caseggiato che offre 28 posti letto in camerata. Oltretutto, il Regolamento delle strutture ricettive del Club Alpino Italiano fin dal preambolo specifica che un rifugio «non è un albergo, ma un laboratorio del “fare montagna”, un presidio di ospitalità in quota sobrio, essenziale e sostenibile».
Antropizzata, perché il TAR, in una delle quattro domande indirizzate al verificatore, ha posto la questione in maniera binaria: «Valutare se i terreni impattati dal nuovo impianto siano incontaminati oppure già fortemente antropizzati». Un’alternativa che non lascia spazio alle tante sfumature che esistono tra i due estremi. O vogliamo dire che non c’è differenza tra un crinale con un rifugio di montagna e il parcheggio di un ipermercato? Sono entrambi antropizzati! Eppure, se quindicimila persone li calpestano in un giorno, l’impronta umana che si produce è molto, molto diversa.
b) «Sarà l’ente Parco a disciplinare i flussi ammessi».
Viene da chiedersi perché costruire una seggiovia capace di portare in un posto 1800 persone all’ora, per poi affidare ad altri la responsabilità di farcene arrivare meno. Sarebbe come costruire una strada a quattro corsie per arrivare a una spiaggia dov’è consentito il parcheggio a poche decine di auto. Tanto ci penserà la polizia municipale a regolare il traffico!
4. L’ambiente non è una cartolina
Rispetto all’impatto ambientale della seggiovia stessa, il TAR sposa in tutto e per tutto la tesi della «sostituzione» di due impianti esistenti (skilift Cupolino e seggiovia Direttissima) da parte di un impianto la cui lunghezza è minore della somma degli altri due. E poco importa se il Cupolino non c’entra nulla con il tracciato della nuova seggiovia. La sua demolizione è considerata una «circostanza sicuramente rilevante ai fini della valutazione d’impatto ambientale».
Qui tocchiamo una questione di fondo, molto importante: nella sentenza del TAR si fa confusione tra “impatto paesaggistico” e “impatto ambientale“.
Eliminando lo skilift del Cupolino si avrebbe un leggero miglioramento del paesaggio, inteso soltanto come aspetto estetico del territorio. Dopo i lavori, i piccoli sostegni metallici non sarebbero più visibili; tuttavia per smantellare l’intero impianto (comprese le basi di cemento armato) sarebbero necessarie nuove piste di cantiere e nuove piazzole di sosta per lo stoccaggio e il trasporto di tonnellate di rifiuti edili. Tutto questo, sul piano ambientale, impatterebbe fortemente alcuni habitat di interesse comunitario: lande alpine e boreali, formazioni erbose a Nardus, ricche di specie, su substrato siliceo, e formazioni erbose calcicole alpine e subalpine. Questo avverrebbe non soltanto con l’eliminazione dell’impianto del Cupolino, ma anche con quella della seggiovia “Direttissima”. In entrambi i casi, ci sarebbe un danno, e non un vantaggio, per l’ambiente.
Il problema è che si valuta sempre l’impatto delle opere una volta terminate, senza considerare i cantieri che servono per realizzarle ( o demolirle). Questi ultimi, tra l’altro, comporterebbero danni anche sul piano paesaggistico: le piste per i mezzi e le piazzole di sosta, costruite su terreni acclivi e con suolo sottile, innescano processi erosivi notevoli che causano interruzioni del manto vegetale spesso semipermanenti. L’impronta di un cantiere del genere rimane visibile per decenni, sotto forma di striature e chiazze marroni in un contesto prevalentemente verde.
Uno al prezzo di due
La logica dell’uno per due – un impianto al posto di due – viene pervicacemente ribadita anche rispetto all’aumento altimetrico del nuovo impianto, che arriverebbe cento metri più in alto dell’attuale seggiovia Direttissima. Ma poiché il Cupolino arriva ancora più in alto, il nuovo impianto è in realtà più basso dei due che “sostituisce”, e il problema è aggirato.
5. Una «nuova seggiovia» può non essere nuova
Arriviamo così all’annosa questione di valutare se la «nuova seggiovia» (così definita nei progetti degli stessi proponenti) sia davvero «nuova» o se non sia invece la modifica di un impianto pre-esistente.
L’art. 3 del testo unico per l’edilizia parla chiaro: ogni modifica dell’area di sedime o della sagoma di un’opera la identifica come «nuova», e una sentenza del Consiglio di Stato conferma quest’interpretazione. Tuttavia, il TAR ritiene che nel valutare l’impatto ambientale di una nuova seggiovia, non si debba fare riferimento a questa definizione “edilizia” di «nuova costruzione», bensì al Codice dell’Ambiente. Nel quale, purtroppo, non esiste un criterio per distinguere tra un nuovo impianto e una modifica. Il giudice quindi rimanda al testo unico per l’Ambiente del 2006, che alla lettera l) definisce la modifica come «variazione di un piano, programma, impianto o progetto approvato, compresi, nel caso degli impianti e dei progetti, le variazioni delle loro caratteristiche o del loro funzionamento, ovvero un loro potenziamento, che possano produrre effetti sull’ambiente». Questo però non è affatto il caso della seggiovia Polla – Scaffaiolo, che non varia le caratteristiche della seggiovia «Direttissima» e nemmeno la potenzia, dal momento che la Direttissima verrà smantellata.
Inoltre, lo stesso testo di legge, al comma successivo, definisce il concetto di «modifica sostanziale», distinguendolo dalla semplice «modifica» in quanto produce «effetti negativi e significativi sull’ambiente». Quindi, finché ci sono semplici «effetti» sull’ambiente, c’è una semplice «modifica», mentre quando gli effetti sono «negativi e significativi» si ha una modifica «sostanziale». Questo non risolve la questione del «nuovo» impianto, ma dimostra che l’intensità dell’impatto ambientale dev’essere tenuta in considerazione.
Cosa impatta di più?
A questo proposito, Il TAR sostiene che un’estensione di volumetria e sagoma potrebbe anche comportare un impatto ambientale minore. L’esempio è sempre quello della portata: un impianto più grande, che però porta in quota meno persone, potrebbe avere un impatto complessivo minore rispetto a uno più piccolo che ne porta di più. In linea del tutto teorica può anche essere vero, ma come si è visto non è il nostro caso: la nuova seggiovia non soltanto sarebbe più estesa della Direttissima, ma porterebbe anche a una quota superiore, in un ambiente più fragile, una massa di persone che l’altro impianto non può nemmeno portarci, poiché non arriva in quel punto, ma cento metri più sotto, in tutt’altro contesto.
L’altra motivazione per sostenere il minore impatto della nuova seggiovia ricalca quelle già viste: l’area su cui insistono il Cupolino e la Direttissima è minore rispetto all’area su cui insisterebbe il nuovo impianto, dunque anche l’impatto è minore. Ma anche in questo caso, il ragionamento è fallato: perché al di là del confronto tra le superfici colpite, bisogna distinguere tra un impatto che già esiste e uno che invece non c’è, che sarebbe del tutto nuovo, su un’area che al momento non è interessata da impianti. Se anche si potesse sostenere che la ferita prevista dal nuovo impianto è più piccola rispetto alle ferite dei vecchi, si tratta in ogni caso di una nuova ferita, che in realtà si aggiunge alle altre, non le compensa e non le riduce.
6. Il caso di Livigno
Quando il Consiglio di Stato, contro la prima ordinanza del TAR, ha accolto il nostro appello, ha suggerito di prendere in esame il caso di Livigno, dove fu bocciata la realizzazione senza VIA di un impianto, presentato come “modifica o estensione” di uno esistente, e poi giudicato del tutto nuovo.
Il TAR ritiene che quel caso non sia comparabile al nostro, perché la nuova seggiovia si trovava a 2 km da quella sostituita, prevedeva un nuovo tracciato sciabile in un’area che non lo consentiva ed era in contrasto con tutti i piani territoriali.
Fatte salve le differenze, il caso di Livigno dimostra comunque che l’espediente di far passare per «modifica» un impianto nuovo, allo scopo di evitare la VIA, è già stato tentato e sanzionato.
Il fatto poi che la nuova seggiovia Polla – Scaffaiolo non comporti la realizzazione di nuovi «tracciati sciabili», ovvero piste, è tutto da dimostrare. Il TAR sostiene che sarebbe necessaria soltanto una «battitura di neve in discesa di 70 mt», accogliendo un’indicazione del verificatore, che nella sua relazione scrive «sembra effettivamente plausibile consentire il suddetto collegamento [tra la stazione d’arrivo della nuova seggiovia e le piste esistenti] con la semplice battitura della neve», appunto su una tratta lunga 70 metri. Come si vede, si tratta di una semplice ipotesi, che «sembra plausibile», e che invece il TAR avvalla come certezza. Tra l’altro, senza considerare che nella stessa relazione c’è scritto che, utilizzando la cartografia di progetto, «le aree sciabili sono risultate maggiori rispetto alle pre-esistenti di una quantità pari a circa 22.400 mq». Cioè tre campi da calcio, non 70 metri.
7. Una ferita «compensata» rimane una ferita
Riguardo al bosco (1405 mq) che verrebbe abbattuto per far spazio alla nuova seggiovia (a dimostrazione che essa insiste su un’area nuova), il TAR rileva che “tale componente ambientale negativa ha già formato oggetto di valutazione nella procedura di screening nel rispetto delle prescrizioni compensative di cui alla disciplina regionale». In questo caso, non dubitiamo che gli alberi abbattuti verranno compensati, ma è lo stesso principio della compensazione che intendiamo criticare. Abbatto degli alberi qui (magari vecchi di molti anni) ne pianto altrettanti là (giovani e incerti) e voilà, l’impatto ambientale è compensato, cioè zero. Con la stessa logica si potrebbero abbattere le Due Torri di Bologna, rimpiazzandole con due più piccole a Castenaso, e dicendo a chi protesta che sono state compensate.
Così come sono compensate, nel dispositivo finale della sentenza, anche le spese di lite «attesa l’obiettiva complessità delle questioni esaminate». Una magra consolazione, per quanto importante, considerati i costi del ricorso. Quantomeno, si riconosce che la nostra pervicacia non è campata in aria, ma ha una sua fondatezza.
Queste le osservazioni che ci premeva condividere, specie con chi ci ha sostenuto in questi anni, anche dal punto di vista economico, ovvero diverse centinaia di persone e associazioni.
Vi aggiorneremo presto sulle prossime mosse, non appena avremo un quadro più concreto.
Ho letto con attenzione quanto scritto a commento della sentenza. Sono abruzzese e vivo in Abruzzo (la cosiddetta regione verde d’Europa), quindi non conosco personalmente il territorio che sarà oggetto di nuovi impianti sciistici. Posso però dire che in questo nostroi Paese (e purtroppo in tante altre parti del mondo intero) non si vuole capire che soltanto preservando l’ambiente, potremo preservare la vita. Nutro grande ammirazione per chi, come voi, dedica tempo e denaro per difenderci da un “progresso” destinato altrimenti a fagocitarci (Bonaccini incluso).