[Dopo quello firmato da Vinicio Ruggeri, pubblichiamo un secondo articolo, molto approfondito, sull’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna, prendendo come caso di studio il torrente Savena, la cui vallata è stata già soggetta a frane, inondazioni, disboscamenti intensivi e interventi edilizi troppo invasivi nell’alveo del fiume.]
di Fausto Bonafede, WWF Bologna Metropolitana OdV, tra i fondatori del comitato Un altro Appennino è possibile
Il disastro che abbiamo sotto gli occhi nella Regine Emilia-Romagna ha cause generali e cause locali.
1a) CAUSE GENERALI: il Clima che cambia
Il Clima è cambiato e ancor più cambierà nel prossimo futuro; la causa di questo cambiamento drastico e veloce viene imputata (dal 99% degli scienziati) ai gas serra (CO2 e altri gas come il Metano); i gas serra vengono immessi in quantità crescenti da 8 miliardi di esseri umani la cui massa ha superato (già nel 2000) quella di tutti i mammiferi selvatici presenti sulla terra. La massa complessiva degli uomini, sommata a quella degli animali da allevamento, è oltre 50 volte quella dei mammiferi selvatici (compresi gli elefanti, gli orsi, i lupi, i pipistrelli, ecc.).
In alcune aree del Pianeta la densità della popolazione umana (abitanti/Kmq) è particolarmente elevata; per esempio nella Pianura Padano-Veneta vivono quasi 15 milioni di persone con una densità media di 355 abitanti /Kmq (in India 460 abitanti/Kmq); in questa situazione la resilienza ai cambiamenti climatici è estremamente difficile o addirittura impossibile.
L’impatto umano sul clima (e non solo) dipende dalle emissioni medie di ogni essere umano e da quanti sono gli esseri umani sul pianeta. Tuttavia non tutti inquinano allo stesso modo: alcuni paesi hanno emissioni annuali pro capite altissime; per esempio gli Stati Uniti emettono circa 16tn di CO2/pro capite all’anno. Altri paesi hanno emissioni molto basse; per esempio Ciad, Niger, Repubblica Centroafricana hanno emissioni intorno a 0.1tn di CO2/pro-capite, ben 160 volte meno degli Stati Uniti. La Cina ha emissioni di 7tn di CO2 /pro capite, tuttavia si colloca come il primo paese emettitore di gas serra; questo accade perché la Cina ha 1.5 miliardi di abitanti e gli Stati Uniti “solo” 332 milioni di abitanti. Nel nostro paese ogni italiano emette circa 5.5tn di CO2/pro-capite.
Quello che conta è la quantità complessiva di emissioni sul pianeta perché questo è l’unico contenitore che assorbe le emissioni di tutti e nel quale tutti vivono. Gli effetti dei cambiamenti climatici sono globali, tuttavia in certe aree del Pianeta gli effetti sono più accentuati; per esempio ai poli e sulle alte montagne la temperatura è aumentata maggiormente che in altre zone; nel Bacino Padano dobbiamo fare i conti con una cattiva gestione del territorio ma anche con una densità di popolazione molto elevata e che vive in una zona fragile.
La concentrazione di CO2 è correlata al riscaldamento globale come si evince esaminando il grafico che mostra la concentrazione di anidride carbonica (CO2) e le variazioni di temperatura negli ultimi 800.000 anni. I dati provengono dall’esame di carote di ghiaccio (Antartide e Groenlandia) dove vengono ricercate bolle di aria intrappolate nel ghiaccio in diverse epoche. Le bolle vengono prelevate a profondità differenti del ghiaccio; in Antartide sono state fatte trivellazioni fino a 3000m sul fondo dei ghiacciai continentali. Le profondità maggiori corrispondono a ghiaccio molto antico e i dati raccolti sono attendibili.
La linea blu indica i valori della CO2 , quella rossa mostra le temperature. E’ evidente che quando aumenta la CO2 aumenta anche la temperatura. Sicuramente ci sono anche altri fattori che influenzano la temperatura, tuttavia è fuor di dubbio che la CO2 è un gas la cui concentrazione è correlata con la temperatura del Pianeta: maggiore quantità di CO2 maggiore è la temperatura. Oggi la concentrazione di CO2 risulta superiore a 420 parti per milione (ppm), livello mai raggiunto negli ultimi 800.000 anni quando la CO2 è rimasta nel range 180-300 ppm. Il picco di 420ppm è stato raggiunto e superato soltanto negli ultimi anni; non può essere un caso che nello stesso momento la temperatura si è impennata pericolosamente e continua a crescere. Un’alta osservazione: la temperatura ha cominciato a crescere subito dopo la prima e, soprattutto, la seconda rivoluzione industriale (IX secolo), quando si è cominciato ad usare i combustibili fossili in modo massiccio ed è aumentata l’emissione di CO2.
Sulla base di queste osservazioni è praticamente impossibile pensare che il cambiamento del clima, negli ultimi 150 anni, non sia stato causato dall’uomo. Anche l’aumento vertiginoso della popolazione, soprattutto nel secolo scorso, è stato (ed è!) correlato alle emissioni di CO2 per cause indipendenti dall’uso dei combustibili fossili; non vi è dubbio che, per sostenere una popolazione crescente, è stato necessario sostituire le foreste (che assorbono CO2) con campi coltivati per aumentare le produzioni agricole e l’allevamento del bestiame; ogni anno vengono distrutti circa 10 milioni di ettari di foreste (una superficie grande come l’Islanda); le attività agricole e l’allevamento contribuiscono notevolmente alle emissioni clima-alteranti (CO2 e metano) contribuendo al riscaldamento globale per oltre il 20%; la situazione viene peggiorata perché la riduzione delle foreste diminuisce l’assorbimento della CO2 che rimane intrappolata in uno strato sottilissimo dell’atmosfera (la troposfera), a contatto della superficie terrestre, che ha uno spessore di soli 10Km (il diametro terrestre è di 12.700.000km !).
Su questi argomenti esiste una letteratura scientifica impressionante eppure sui social e su Whtasapp hanno grande successo le teorie negazioniste.
Una di queste sostiene che il cambiamento climatico “non esiste” (!). Tutto è nato da non meglio precisati “poteri forti” che hanno interesse a fare la riconversione ecologica sostituendo le fonti fossili con energie rinnovabili; questo passaggio causerebbe problemi economici e sofferenze di ogni tipo con la precisa volontà di farci passare gli inverni al freddo (!?). Questa teoria circola con insistenza attraverso “catene di S. Antonio” che contattano decine di migliaia di persone attratte dall’idea che la colpa è solo degli “ambientalisti” e di alcuni “poteri forti”; dunque, essendo colpa di altri, si può continuare a fare le cose che sembrano comode: per esempio tenere la temperatura nei locali tra i 22 e i 25 gradi tutto l’anno con consumi e inquinamento enormi per il riscaldamento e il condizionamento dei locali. Solo il riscaldamento incide per quasi il 20% sulle emissioni totali in Italia.
Famosa la Teoria del complotto sulle scie chimiche degli aerei (esiste dal 1996); questa teoria sostiene che, alle normali scie di condensazione visibili nell’atmosfera e create dagli aerei, siano intenzionalmente aggiunti degli agenti chimici o biologici, spruzzati in volo per mezzo di ipotetiche apparecchiature montate sui velivoli, per varie finalità tra cui quella ci cambiare ad arte il clima del Pianeta e/o di singole regioni. Ci sarebbe anche la volontà di sterminare 4 miliardi (!?) di esseri umani. La comunità scientifica di tutti i paesi ha sempre rigettato queste teorie assurde; tuttavia la scienza non interessa ai fanatici del complotto perché sono proprio le false teorie che servono a togliere qualunque responsabilità concreta a governanti e governati sui cambiamenti climatici. Non dobbiamo ridere sulle teorie complottistiche: sono pericolosissime perché contribuiscono a ritardare ogni tipo di intervento in grado di scongiurare o mitigare le conseguenze dei cambiamenti climatici.
Per quanto riguarda l’alluvione devastante che ha interessato quasi la metà dell’ Emilia-Romagna (17-18 maggio 2023), è stato scritto che anche questa era opera di aeroplani che hanno sparso sostanze chimiche (ioduro di argento?) in atmosfera facendo piovere a dismisura e causando quello che è successo (!?). Addirittura circolano stupidaggini ancora più “grosse”: la siccità è stata causata da chi gestisce il lago artificiale di Ridracoli dove l’acqua è stata tenuta dentro al bacino per assetare tutta la pianura romagnola. Poi, nel mese di maggio, si è svuotato il bacino creando l’alluvione. Peccato che, facendo i calcoli, sarebbero stati necessari 33 bacini di Ridracoli per mandare giù tutta l’acqua venuta con la pioggia caduta ininterrottamente per due giorni . Quindi mancano all’appello 32 bacini di Ridracoli per supportare questa teoria idiota! Tutti gli assidui lettori di notizie improbabili non si sono neppure curati di guardare fuori dalla finestra e verificare che veramente la pioggia è caduta senza sosta per due giorni; quando succede questo è normale che i fiumi si ingrossino, senza bisogno di “dare la molla” al bacino di Ridracoli.
Purtroppo queste cretinate le sentono, le leggono e le credono decine di migliaia di persone, non di rado anche con elevato livello di istruzione. E più le teorie sono improbabili, più hanno successo. Per quanto riguarda il cambiamento del clima con le scie degli aerei si dovrebbe almeno fare qualche considerazione basata sulla logica: se fosse possibile cambiare il clima in modo cosi semplice (con qualche aereo che fa le nuvole, fa freddo o caldo a piacere), sarebbe anche semplice arricchirsi cambiando il clima del Sahara, della Valle della Morte, del deserto di Gobi e anche della Siberia dandole un clima simile alla riviera ligure; tutto questo a portata di mano (anzi di aereo) utilizzando le “magiche polverine”. Perché non è successo? Eppure la teoria degli arerei circola dal 1996 e se la teoria avesse un qualche fondamento queste cose sarebbero già successe da tempo. Milioni di persone avrebbero già colonizzato deserti e altri luoghi inospitali. E anche questo non è successo; anzi: i deserti si allargano e la gente migra. Perché i possessori di queste tecnologie cosi efficaci per cambiare il clima a piacimento non si sono dati da fare per arricchirsi subito e senza faticare? Prima di diffondere e credere a simili cretinate bisognerebbe almeno farsi qualche domanda.
Può essere vero che qualche aereo a scopo sperimentale ha “inseminato” le nuvole con lo ioduro di argento (o sostanze simili) per favorire le precipitazioni su aree limitate; è successo, ma i risultati sono di scarsissima entità, limitati nel tempo e nello spazio. Il cambiamento del clima è un fenomeno globale che non ha nulla a che fare con queste cose.
1b) CAUSE GENERALI: che cosa è cambiato del Clima
Esaminando gli ultimi 30 anni e confrontandoli con il periodo precedente, si può affermare che sono cambiati soprattutto i seguenti parametri del Clima:
a) La temperatura globale del Pianeta è aumentata di circa un grado a livello globale; tuttavia l’aumento non è stato uniforme; ai Poli e sulle montagne, per esempio, l’aumento è di 2-3°C (!)
L’aumento delle temperature provocherà un effetto generale e devastante che è già in corso: l’aumento del livello marino che, sommato alla desertificazione di vaste aree del pianeta, provocherà processi migratori mai visti. Si stima che oltre 140 milioni di persone saranno costrette a spostarsi per il clima che cambia entro il 2050. La maggior parte dei movimenti migratori interesseranno il bacino mediterraneo dall’Africa verso l’Europa.
b) La permanenza al suolo di ghiaccio e neve è diminuita; se ghiaccio e neve si riducono cambia la disponibilità di acqua dolce (la maggior parte dell’acqua dolce sul pianeta terra è in forma solida). L’acqua che si scioglie lentamente da un ghiacciaio o da un nevaio è facilmente utilizzabile e non richiede costi per stoccarla. Dunque, meno quantità di neve e ghiaccio significa aumento del rischio siccità e contemporaneamente anche di alluvioni perché la quota neve si è alzata e dove prima nevicava ora le precipitazioni si svolgono sotto forma di pioggia che molto più rapidamente scorre a valle ingrossando i fiumi. Entrambi i fenomeni (siccità e alluvioni) diventano più frequenti e pericolosi in territori fragili e sovrappopolati come la pianura Padana. La presenza della neve al suolo condiziona anche il paesaggio vegetale soprattutto in alta quota (cfr: F. Bonafede, G. Puppi, D. Ubaldi, M. Vignodelli, &A.L. Zanotti – 2014 – Vegetation changes during a 30 year period in several stands above the forest line (Emilian-Apennines). Plant sociology, 51 (1) :5-18)
c) Il regime pluviometrico è cambiato; la quantità di pioggia caduta in un anno non è cambiata molto. Invece è cambiato il numero di giorni piovosi che sono drasticamente diminuiti. La pioggia tende a concentrarsi in pochi giorni con precipitazioni violente. Questo porta a due conseguenze: aumenta la frequenza e l’intensità dei periodi siccitosi e, nel contempo, aumenta la frequenza e l’intensità delle alluvioni. Se piove in modo moderato e per molti giorni, l’acqua non provoca alluvioni e può filtrare lentamente nel terreno e caricare le falde dove sarà disponibile anche quando non piove. Se invece piove in modo violento e per pochi giorni l‘acqua caduta non ha il tempo di andare in falda ma viene scaricata quasi tutta nei corsi d’acqua e le alluvioni sono la prima logica conseguenza; la seconda conseguenza è che l’acqua corre veloce al mare dove non sarà più disponibile come acqua dolce (cosa che accade quando l’acqua è nei ghiacciai oppure nelle falde).
d) Il vento è aumentato in frequenza di giorni ventosi e per intensità (velocità del vento); questo è ben documentato soprattutto in montagna (sul M. Cimone esiste un osservatorio astronomico che raccoglie dati precisi da molto tempo). Il vento interagisce con altri fattori del Clima; per esempio il vento, quando la temperatura è maggiore di 0°C, accelera moltissimo la velocità di scioglimento del ghiaccio e della neve. Questo spiega perché, sull’Appennino della Nostra Regione, nell’inverno 2020/2021 la neve è sparita già all’inizio di maggio nonostante precipitazioni e accumuli nevosi eccezionali (fatto raro in questa fase climatica sul nostro Appennino); il vento ha effetti sorprendenti sullo scioglimento della neve e anche sul paesaggio vegetale. (cfr: F. Bonafede, G. Puppi, D. Ubaldi, M. Vignodelli, &A.L. Zanotti – 2014 – Vegetation changes during a 30 year period in several stands above the forest line (Emilian-Apennines). Plant sociology, 51 (1) :5-18). Al P.sso di Croce Arcana (Appennino Modenese), il 21 novembre 2020 si sono registrate ripetutamente raffiche di vento a 270Km/h (!); i valori misurati sono un record per il territorio Italiano.
e) Aumento della frequenza e dell’intensità di eventi estremi come lunghe siccità, piogge intense, venti impetuosi, forti ondate di calore, gelate tardive. Gli Eventi catastrofici verificatisi negli ultimi anni sono numerosi; ricordiamo la tempesta Vaia che ha interessato il nord-est italiano (in particolare l’area montana delle Dolomiti e delle Prealpi Venete) dal 26 al 30 ottobre 2018. L’evento ha interessato anche le vicine regioni di Svizzera, Austria e Slovenia, con venti fortissimi e piogge persistenti. Secondo stime attendibili, a causa del vento, sono stati abbattuti 42 milioni di alberi su di una superficie di 41.000 ettari; un fenomeno mai visto in Italia a memoria d’uomo. I danni economici superano i 3 miliardi di €. Anche le alluvione verificatesi in Emilia-Romagna nel corso di due ondate (inizio mese e poco dopo la metà del mese di maggio 2023) vanno inquadrati come eventi estremi; ogni “ondata” aveva una probabilità molto bassa di verificarsi: una volta ogni 70-100 anni; invece se ne sono verificate due a distanza di 15giorni! Anche per questo gli effetti sono stati devastanti. La stima dei danni materiali è intono ai 10 miliardi di €. Quello che abbiamo visto accadere in Emilia-Romagna deve far riflettere: dopo più di un anno di siccità molto pronunciata, la peggiore da almeno 70 anni, si sono verificati, a distanza di appena due settimane, due “ondate” di piogge persistenti con precipitazioni fuori norma. In tutto, in 15 giorni, è scesa l’acqua di 7-8 mesi, più di 400 mm sui circa 900 annui attesi in questa area.
2.1) CAUSE LOCALI: Corsi d’acqua e loro gestione. Qualche esempio sul nostro territorio
La cementificazione del territorio ha interessato grandi superfici. Quando piove l’acqua, invece di essere assorbita dal terreno e poter ricaricare le falde, finisce sul cemento, poi nelle tubature e quindi subito nel più vicino corso d’acqua aumentando i livelli di piena in pochissimo tempo; l’acqua corre rapidamente verso il mare e, come abbiamo visto, non risulta più utilizzabile. E’ certo che la cementificazione del territorio amplifica gli effetti di eventi meteorologici estremi soprattutto quando le aree edificate si trovano lungo il corso d’acqua. Nelle zone basso-collinari, poco prima dell’ingresso del fiume in Pianura, le aree esondabili dovevano essere rispettate e destinate ad accogliere l’acqua in caso di piena. La presenza del cemento rende impossibile tutto questo.
Prendiamo ad esempio la Val Savena: qui il comune di Pianoro, sul fondovalle, ha permesso e favorito una cementificazione impressionante; basti pensare all’area industriale-artigianale di Pian di Macina che insiste per un lungo tratto sulla riva destra idraulica del Savena, a pochi metri dall’acqua. Nei primi anni ’80 la costruzione della strada Fondovalle Savena, voluta fortemente dai cavatori e da tutti i comuni della Vallata, ha ulteriormente aggravato la situazione; senza decenza alcuna, la strada è stata costruita in pieno alveo del Savena (comune di Loiano) in situazione di evidente pericolo soprattutto in corrispondenza delle Gole di Scascoli. Come previsto, si sono verificati diversi eventi franosi catastrofici; degni di nota sono le immani frane rocciose avvenute nel 1992, nel 2002 e nel 2005 causate anche dalla presenza della strada di fondovalle Savena; infatti, per costruire la strada in corrispondenza delle gole di Scascoli, si è dovuto “spostare” il corso del Savena di alcuni metri, quel tanto che basta perché il torrente riuscisse a scalzare il piede del “mammellone” roccioso in sinistra Savena che, già instabile, è crollato interrompendo il corso del torrente. A monte del crollo si è formato un lago di frana (cfr. foto allegate). I danni sono stati ingenti e solo per circostanze fortunose non è andata molto peggio. I lavori sono durati anni, le spese ingenti e la sicurezza non esiste per la strada di Fondovalle Savena, costruita nel poso sbagliato e nel modo sbagliato: è stata progettata dentro all’alveo del Savena in zona esondabile e con elevatissimo rischio di frane .
Il Corso del Savena, dalle Gole di Scascoli (Loiano) al ponte di S. Ruffillo (Bologna), passando per il comune di Pianoro, è zona ad alto rischio idraulico e idrogeologico. In tutta questa zona l’alveo è stato ristretto a dismisura con strade, costruzioni e manufatti di ogni tipo realizzati a pochi metri dall’alveo attivo o addirittura dentro l’alveo; le conseguenze, come abbiamo documentato, sono disastrose. Le sezioni di deflusso sono diventate insufficienti per smaltire anche piene modeste, figuriamoci cosa può succedere in occasione di eventi meteorologici estremi come quelli del 17 e 18 maggio 2023. La situazione è destinata a peggiorare con i lavori del “Nodo di Rastignano” salutato da tutti come la soluzione di tutti i problemi
Tutto sommato, questa volta, in Val Savena è andata “bene” rispetto a quello che è accaduto nelle valli della Romagna, a meno di 60Km in linea d’aria; questo perché in Val Savena la pioggia caduta il 17 e 18 maggio 2023 è stata minore, variando dai 147mm di Loiano ai 166mm di Madonna dei Fornelli; in molte zone della Romagna (RA) è andata molto peggio: si va da 205mm di Brisighella (RA) ai 254mm di S. Cassiano sul Lamone (RA).
L’edificazione lungo i corsi d’acqua è oltremodo nefasta perché qui (e in alta Pianura) sarebbe opportuno costruire zone di esondazione controllata. Se tutto il fondovalle cosi come le zone di alta Pianura sono edificate viene meno questa possibilità e difficilmente si possono affrontare eventi meteorologici estremi.
Notizia recente e incredibile (13 maggio 2023): in Liguria è stato reso possibile edificare in aree esondabili (però solo in quelle “a basso rischio idraulico”, si difende la giunta del Governatore Toti!). Bisogna chiedersi dove si faranno le tanto richieste casse di espansione o laminazione delle piene.
Almeno in Liguria raccolgono delle firme (pare siano già oltre 10.000) per ritirare il provvedimento. Qui da noi il livello culturale per la tutela reale del territorio è più arretrato: le firme, semmai, si raccolgono per mandare in galera “gli ambientalisti” colpevoli di non volere la tanto richiesta “pulizia dei fiumi”.
2.2) CAUSE LOCALI: Corsi d’acqua e loro gestione; la “pulizia dei corsi d’acqua”
Per “pulizia dei corsi” d’acqua si intende la rimozione della vegetazione spondale; il termine è quanto mai inappropriato perché la vegetazione viva viene considerata “sporco” da togliere. Al contrario qualunque rifiuto che si trova in alveo durante queste operazioni di “pulizia” (teli e altri oggetti di plastica, elettrodomestici, legname secco, spesso anche autoveicoli), viene rigorosamente lasciato in loco. Queste “pulizie” provocano danni ambientali enormi com’è accaduto nel caso del Savena tra il 2014 e il 2015 per ben 12Km di corso d’acqua a monte di Rastignano; qui si sono abbattuti decine di migliaia di alberi ad alto fusto intervenendo su di una superficie di 30 ettari dov’è stata eliminata una biomassa di almeno 1500tn di legno prodotto in oltre 30 anni di fotosintesi.
La “pulizia” cosi intesa (eliminazione quasi completa della vegetazione viva lungo le sponde) ha principalmente due effetti sul piano idraulico e idrogeologico, il primo potenzialmente positivo e il secondo certamente negativo:
a) La corrente di piena aumenta la sua velocità perché l’acqua, mancando la vegetazione, incontra meno attrito “la scabrezza” diminuisce con il taglio della vegetazione; la conseguenza è che il tirante idrico si abbassa e l’acqua, in occasione della piena, mantiene localmente un livello più basso; in questo modo l’acqua rimane più facilmente dentro agli argini del “budello” che è stato lasciato al corso d’acqua; se la piena non è eccessiva, sono meno probabili le esondazioni nelle aree disboscate; tuttavia è possibile che le cose vadano molto peggio nelle aree subito a valle della zona disboscata.
b) Quando si taglia la vegetazione in modo generalizzato lungo un corso d’acqua, la corrente di piena aumenta enormemente la sua velocità e la forza erosiva lungo le sponde; sono guai seri per le strade, i ponti e altri manufatti.
Per gli effetti descritti al punto b) presentiamo una documentazione che ci pare interessante e mai considerata.
In occasione delle forti piogge verificatesi il 17 e 18 maggio 2023, il ponte della Motta (Torrente Idice, Molinella, BO) è crollato.
Nel filmato, in ottima definizione, si vede che, gli argini dell’Idice sono privi di vegetazione arborea e arbustiva. Esiste una scarsa vegetazione arbustiva discontinua solo nella parte più bassa dell’alveo; questo si vede meglio poco prima della metà del filmato quando si inquadra il tratto a valle del punto di rottura dell’argine in destra Idice; qui si vede la situazione di manutenzione: l’alveo dell’idice era “pulitissimo”! Tuttavia, proprio in questa situazione, l’idice, ha “mangiato” mezzo argine (una massa solida imponente) per un lunghissimo tratto che comprende anche il ponte; poi la forza e la massa enorme di acqua ha rotto l’argine poco a valle del ponte crollato. Se a monte e a valle del ponte ci fosse stata una fitta vegetazione ripariale, l’ Idice sarebbe uscito dagli argini ma non si “mangiava” le sponde e il ponte, probabilmente, non crollava. L’erosione delle sponde e il trasporto solido aumentano con la velocità dell’acqua, cosa che accade quando manca la vegetazione arborea e arbustiva. Bisognerebbe tenerne conto quando si fa la gestione dei corsi d’acqua.
Di seguito altra documentazione.
A volte anche la presenza di un solo albero può fare la differenza nell’erosione delle sponde, come mostrano le immagini qui sotto riportate (dalla presentazione del dr. Giuseppe Sansoni (CIRF) del 5 Dicembre 2014: Torrente Savena, Vegetazione e Rischio Idraulico ).
2.3) CAUSE LOCALI: ostruzione dei ponti in occasione delle piene
E’ opinione diffusa che i ponti vengano ostruiti, in occasione di un evento di piena, da alberi sradicati e fluitati dalla corrente in quel particolare evento di piena. La documentazione che abbiamo raccolto non è in accordo con questa ipotesi.
In occasione di eventi di piena non è raro vedere i ponti nella situazione mostrata nelle tre foto precedenti (scattate subito dopo eventi di piena). Queste situazioni sono oggettivamente molto pericolose perché l’onda di piena trova resistenza sui piloni del ponte che può crollare.
Ovviamente la soluzione invocata è quella di “pulire l’alveo” (= tagliare tutta la vegetazione viva) per evitare situazioni del genere; non è cosi. Basterebbe osservare che il legno accumulato a monte dei piloni è legno morto; alcuni rami e tronchi sono completamente scortecciati, altri sono tagliati di netto con la sega. Si tratta di legname (in quantità enormi) che era in alveo prima della piena che ha movimentato quello che ha trovato nel suo tragitto. Infatti non si vedono, nei cumuli presso i ponti, alberi sradicati di recente dalla piena. Ulteriore documentazione:
Nel dicembre del 2014 abbiamo percorso a piedi diversi chilometri del corso del Savena a valle e a monte delle Gole di Scascoli e abbiamo fatto molte osservazioni; i risultati sono sorprendenti:
Dunque il legname che finisce sui piloni dei ponti non è costituito da alberi sradicati dalla piena in corso, ma è legname secco già presente prima della piena; l’onda di piena ha soltanto trasportato il legname già presente lungo l’alveo e con questo meccanismo finisce sui piloni dei ponti.
Ovviamente può accadere che un albero (o più alberi) vengano sradicati dalla corrente di piena; tuttavia è un evento non frequente e, quando si verifica, l’albero sradicato si ferma sulle sponde tra la vegetazione viva che funziona come una griglia. In ogni caso il taglio generalizzato della vegetazione viva non impedisce il formarsi di cumuli di vegetazione secca presso i piloni dei ponti, anzi: è vero il contrario perché i cumuli presso i ponti sono costituiti da legno morto che viaggia con la piena tanto meglio tanto più l’alveo è “pulito”.
3a) Alcune conclusioni
a) Il clima è drasticamente cambiato; le cause del cambiamento, negli ultimi 2 secoli, sono riconducibili alle attività umane come l’immissione di gas serra e la deforestazione. Per questi motivi siamo di fronte ad eventi meteorologici estremi di una intensità e di una frequenza crescenti. La quantità di pioggia caduta tra il 17 e il 18 di maggio 2023 su di un’area vastissima causa comunque danni ingenti in un territorio fortemente antropizzato come il nostro.
b) La cementificazione , le attività di cava, il restringimento degli alvei fluviali, più in generale la cattiva gestione del territorio hanno amplificato gli effetti di piogge con intensità eccezionale.
c) La “pulizia” intesa come eliminazione generalizzata della vegetazione arborea e arbustiva negli alvei non risolve nulla; anzi: aumenta la velocità dell’acqua e l’erosione delle sponde con effetti catastrofici.
3b) Le cose da fare a livello locale
a) La cosa fondamentale sarebbe quella di allargare gli argini e destinare zone il più possibile ampie all’esondazione fluviale ovunque sia ancora possibile; le zone più adatte da destinare a cassa di espansione o zona esondabile sono quelle che si trovano ubicate nella bassa collina e nell’alta pianura in modo da poter ricaricare anche le falde; è l’unico modo per affrontare in modo razionale le alluvioni e le siccità prolungate. Al contrario la costruzione di bacini in quota non è consigliabile anche perché le aree adatte sono già state utilizzate.
b) Nelle zone esondabili non devono esserci manufatti né colture che non sopportano la sommersione; l’ideale sarebbe lasciare crescere boschi spontanei anche per ridurre gli effetti delle ondate di calore che diventeranno più intense e frequenti. Nell’alveo, possibilmente allargato, deve rimanere prevalentemente la tipica vegetazione arborea e arbustiva ripariale con eccezione delle zone situate in prossimità di manufatti sensibili (es.:ponti).
c) Per le attività di manutenzione si dovrebbero tagliare solo singoli alberi inclinati o in precarie condizioni vegetative.
d) A monte e a valle di ogni ponte (per poche centinaia di metri) la vegetazione va tenuta bassa con tagli frequenti (ogni 2/3 anni) per mantenere, in quei tratti, solo vegetazione erbacea e basso-arbustiva. Si possono anche piantare piccoli Salici arbustivi come Salix caprea, Salix cinerea, Salix eleagnos o altre specie simili al fine di difendere le sponde dall’erosione e nello stesso tempo favorire il deflusso delle acque in occasione delle piene.
e) Bisogna togliere regolarmente dai piloni dei ponti il legname secco accumulato; si può anche valutare di togliere il legname secco nei tratti di alveo nei quali si presenta più abbondante.
f) E’ meglio consentire il prelievo di vegetazione secca in alveo per ridurne la quantità che può essere movimentata in occasione di eventi di piena per poi finire sui ponti.
g) E’ necessario smettere di considerare gli alvei fluviali come luoghi in cui andare a fare legna con il taglio della vegetazione viva.
Le soluzioni proposte, lo sappiamo, sono difficili da attuare soprattutto per i motivi che abbiamo evidenziato (antropizzazione diffusa e false credenze) però bisogna procedere su questa strada in modo energico. Quando si vuole fare una “grande opera” si procede spesso decisi e veloci con gli espropri. Per l’allargamento degli argini bisogna fare lo stesso. Le alternative non ci sono.